Tempi per danze "fuoriose" Gli Snapped Ankle
- francescocaprini
- 13 ore fa
- Tempo di lettura: 2 min
di Fabio Pigato

In un clima di dissolvimento culturale, dove i locali che propongono contenuti chiudono e gli altri vengono sgomberati, e dove la narrativa sembra avere lo stesso ruolo delle etichette dei prodotti da toilette che leggiamo distrattamente in bagno, abbiamo bisogno di qualcuno che riaccenda la scintilla della curiosità, senza scadere nell’intrattenimento di bassa lega. Questi potrebbero essere gli Snapped Ankles. Sì, perché non in tutti i Paesi la situazione è simile a quella italiana. Loro sono un collettivo londinese nato intorno al 2011. Si esibiscono indossando ghillie suits, maschere e “costumi della foresta”. Non è solo estetica: è un ritorno simbolico alla natura e una critica al moderno individualismo urbano. La loro musica miscela krautrock, post-punk, sintetizzatori noise e ritmi tribali. I testi parlano di ecologia, alienazione urbana, rapporto distorto con l’ambiente e rifiuto delle logiche industriali tossiche.
I loro spettacoli sono teatrali, caratterizzati da performance borderline e da un rituale fisico fatto di salti, movimenti e ricerca di contatto con il pubblico. Questo annulla la distanza tra band e spettatori, ma crea talvolta problemi con le norme di sicurezza, tanto che in passato hanno dovuto negoziare questo aspetto con strutture e promoter. Il loro approccio è chiaramente anti-pop e DIY. In un panorama in cui molte band cercano il singolo perfetto per svoltare, gli Snapped Ankles mantengono la dimensione collettiva e scenica: la performance come manifesto politico e artistico. Non solo band, ma esperienza culturale. Un catalizzatore di idee, esperienze e arte punk. L’uso di materiali grezzi (tronchi, ghillie suits) mette in crisi la retorica dell’artista “brandizzato”: rifiutano l’icona individuale e preferiscono l’allegoria. L’effetto è duplice: attirano attenzione (e quindi mercato) mentre mostrano come il mercato stesso strumentalizzi simboli alternativi. Un’ambivalenza fertile per l’analisi: la band critica il capitalismo culturale, pur restando inevitabilmente parte del suo apparato. L’album che vi consiglio è Hard Times Furious Dancing, un lavoro elettrizzante che scuote e fa riflettere. Si apre con Pay the Rent (cosa che di questi tempi molte persone non riescono più a fare), un brano in cui il groove di basso sostiene synth fuori controllo. In tempi duri si balla in modo furioso: la rabbia e l’insoddisfazione vengono esorcizzate attraverso il più antico dei rituali, la danza tribale. Ma nel disco c’è spazio anche per brani dai suoni industriali e percussioni ossessive. A tratti potrebbero sembrare kitsch, ma questo serve a smascherare con ironia le contraddizioni di una società votata al consumo e allo sfruttamento delle risorse, ambientali e umane c, on il solo fine dell’accumulo.
Insomma, un’esperienza immersiva che regala un viaggio introspettivo, dal quale si torna sicuramente diversi. Provare per credere.
Tempi per danze "fuoriose"
Gli Snapped Ankles
di Fabio Pigato
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