top of page

Note complesse, emozioni semplici. Il mio concerto dei Karate. Di Fabio Pigato.

  • francescocaprini
  • 7 lug
  • Tempo di lettura: 3 min
foto: KARATE
foto: KARATE

I Karate si sono formati nel 1993 a Boston, Massachusetts, grazie all’incontro tra il cantante/chitarrista Geoff Farina, il bassista Eamonn Vitt e il batterista Gavin McCarthy. Nel 1995 si unisce Jeff Goddard, e Vitt passa alla chitarra. In oltre un decennio di attività, la band ha saputo mescolare indie-rock, post-rock, jazz, punk ed emo, pubblicando sei album in studio prima dello scioglimento nel 2005, causato da problemi di udito di Farina. Dopo una lunga pausa, tornano nel 2022 con una serie di concerti acclamati e, nel 2024, pubblicano Make It Fit, il loro nuovo album, uscito il 18 ottobre per Numero Group.

Questa sera li ascolterò al Parco Alberto Dan di Vittorio Veneto, una cornice verde e raccolta, perfetta per un live estivo. Ad aprire la serata due promettenti band italiane: Astral Brew e Inner Desert, che ci fanno ben sperare sullo stato di salute della musica live in Italia.

La musica dei Karate viene etichettata come post-rock o slowcore. Come sempre, le definizioni possono aiutare a orientarsi, ma rischiano anche di diventare gabbie che imprigionano la creatività degli artisti. Ecco perché è meglio prenderle con le pinze, soprattutto davanti a una band cosìpoliedrica.I Karate, più che appartenere a un genere, lo ridefiniscono ad ogni loro nuovo lavoro.

Dopo le due aperture – coinvolgenti e ricche di personalità – i Karate salgono sul palco con una presenza che è insieme discreta e potente. Ciò che colpisce subito è la cura maniacale per i dettagli. Mi viene da pensare che potrebbero risolvere un cubo di Rubik in pochi secondi, senza guardare: perfezionismo a livelli assoluti.

Aprono con Bass Sounds, poi seguono If You Can Hold Your Breath e There Are Ghosts. Tre brani, uno dietro l’altro, che tolgono il respiro. Poi, un “Thank you” sintetico, asciutto, e si riparte, senza fiato e senza sbavature. Il tutto con una precisione chirurgica, ma mai fredda. Le armonie complesse si intrecciano a groove ritmici con venature jazz, a conferma che la loro musica, anche a trent’anni di distanza dagli esordi, è ancora fresca, moderna e piena di idee.

Si può essere tecnici e virtuosistici, senza perdere l’emotività? I Karate dimostrano che sì, è possibile. E buona parte del merito va alla voce di Geoff Farina, che, nonostante il caldo torrido, si muove con naturalezza dentro melodie intricate e labirinti sonori che rischiano di farci perdere l’orientamento. E pensare che hanno rischiato di non esserci: un volo cancellato, otto ore fermi a Bologna, strumenti persi da una compagnia low-cost (il nome lo teniamo per noi). Per colpa di tutto questo, hanno dovuto annullare la data di Cagliari.

Ma stasera sono qui. Suonano per un’ora e mezza, senza cedimenti. Ascoltando i commenti del pubblico, una frase si ripete: “Ma sbagliano mai?” No. E anche se lo facessero, non lo sentiremmo. La loro musica ha una tale coesione che ogni deviazione sembrerebbe voluta.

Una curiosità: la band ha deciso di pubblicare su Spotify la scaletta del tour come playlist ufficiale, la stessa per tutte le date. Una scelta elegante, quasi da concept tour.

E allora, cosa ci dicono oggi i Karate? Che la complessità non è mai fine a sé stessa, se riesce a toccare corde profonde. Che si può essere sofisticati e accessibili allo stesso tempo. E che, nonostante tutto, suonare con passione, rigore e umanità è ancora possibile. La loro musica continua a parlare al presente, con una voce limpida e ispirata. E chissà, magari proprio da qui, da una sera d’estate in Veneto, qualche giovane musicista troverà la spinta per provarci anche lui.


Note complesse, emozioni semplici.

Il mio concerto dei Karate.

Di Fabio Pigato.

Commenti


bottom of page