
Il grande poeta angloamericano Thomas Stearns Eliot nella sua Terra Desolata, iniziava il poema con il verso “Aprile è il mese più crudele”. Per noi italiani, invece, è febbraio il mese più … crudele, forse … Sicuramente quello più viscoso. A febbraio, infatti, veniamo tutti attirati davanti ai nostri televisori che siano LED, plasma o vecchi tubi catodici e restiamo invischiati come insetti sulla carta moschicida dallo strepitoso show nazional popolare: il Festival di Sanremo. Alla faccia dei più accaniti detrattori della manfestazione, non possiamo esimerci da considerare l’importanza e la straordinaria grandezza della kermesse: il più grande monumento al vuoto vacuo che sia mai stato concepito e realizzato per moltissimi decenni. Siamo (nientemeno!) alla settantacinquesima edizione! I critici che più si accaniscono dimenticano che senza il Festival, il mainstream in Italia non esisterebbe. Così come non esisterebbe uno star system di noi altri. Noi abbiamo bisogno di tutto quella farlocca grandeur, di tutto questo sbrodolamento sull’italica creatività artistica e sui personaggi demiurgici che l’incarnano. Poi, un red carpet non lo si nega a nessuno. Ok … è più una stuoia, un tappetino da bagno ma suvvia, è tutto nostro! Il Festival rivierasco è fondamentale. Vi consegno alcuni altri motivi. Scoprire che quella cantante è bellissima e molto aggraziata anche con i vestiti addosso, vale il prezzo del biglietto? La risposta è sì! Chi avrebbe detto che il Festival nella sua fenomenologia più thrilling, avrebbe da anni istaurato la sessione: a volte ritornano? Quante volte, ci siamo chiesti: ma non era morto/a una decina di anni fa? Non so se, effettivamente, riescano a fare miracoli ma sulle riesumazioni non li batte nessuno. Poi, tutto quel parlare e cantare d’amore carnale, tradito, perso, trovato, trovato e perso, perduto e recuperato, pentito e vendicato… tra amanti, madri, figli, padri, sconosciuti consenzienti, alieni, forme di vita primordiali e divinità, chi ce lo regalerebbe (al solo costo del canone RAI)? Perché non parlare d’amore e solo di quello (salvo rarissime eccezioni) mentre il mondo va a fuoco? Perché parlare di un’umanità che non ha mai conosciuto un numero più grande di conflitti regionali come oggi, quando puoi parlare di limonate dure davanti al falò, di desideri erotici strazianti da canide in calore o della sofferenza per la fine di una relazione?
Poi, non c’è niente di più transgenerazionale della kermesse! I nonni seduti sul divano accanto ai nipoti: i primi che seguono quei big che erano giovani nel Paleozoico (e non se li ricordano), i secondi che attendono i nuovi bad guys della italica canzone, rapper e trapper. E, continuando a parlare della funzione miracolistica di Sanremo, questi ultimi ci arrivano in versione da diporto, depotenziati. Niente sessissmo, scurrilità, droga, AK 47, crimine, autotune ma una commuovente e orgogliosa accettazione di non aver ancora superato la fase dell’egocentrismo infantile, nonostante ormai siano grandicelli.
A Sanremo cantano tutti! Nella cornice più fiorita della Liguria, si esibiscono voci che stanno al canto come una centrale a carbone sta al green deal. Ovviamente, non parlo di chi (magari) non è intonatissimo ma è comunque capace di farti arrivare il messaggio. Poi, au contrair, ci sono due o tre vocalist che potrebbero cantare l’elenco del telefono (per chi si ricorda cosa fosse …) facendoti venire una spanna di pelle d’oca. Niente rock, però. E’ bandito. Non funziona e potrebbe far spuntare un pensiero intelligente a qualcuno. E’ un genere che ha questa controindicazione.
Non importa, gente! Piaccia o non piaccia, Sanremo è inequivocabilmente Sanremo. E’ e sarà lì in agguato con le sue polemiche e i suoi ospiti, con gli artisti che si amano e quelli che si odiano tra questioni creative e di corna. Cosa c’è di meglio per alimentare il patrio prurito? E poi, gli autori! Quelli che sono sempre gli stessi! Ma sono quelli di Sanremo!!! Quelli che sanno cosa scrivere per quella manifestazione. Non importa se in undici hanno scritto quasi il settanta per cento dei brani! A Sanremo non si rischia l’omologazione, è la certezza da anni (salvo qualche rara e gradita eccezione).
Sanremo è un contest sportivo, poi! Davvero, qui l’importante è partecipare. Pensate a chi l’anno scorso è arrivato tra gli ultimi e si è fatto un bel triplice disco di platino! Capite perché quest’anno presenterà una canzone identica?
Non so voi ma io mi sottoporrò anche quest’anno al rito. Come la pecora del pastore errante di leopardiana memoria, non canterò alla Luna della consapevolezza della mia condizione, dei miei dolori o guai. Mi limiterò a sedermi con il telecomando bloccato sul primo canale e, svestiti i panni del vostro amichevole Visionario di quartiere, mi farò ovino per tutte e cinque le serate.
Però, se devo essere pecora, almeno, fatemi fare quella nera.
di Paolo Pelizza (essere umano).
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