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Calibro 35 plays Morricone - Intervista a Enrico Gabrielli di Fabio Pigato

  • francescocaprini
  • 20 mar
  • Tempo di lettura: 7 min


Calibro 35 plays Morricone - Intervista a Enrico Gabrielli

 

di Fabio Pigato

 

Quando io e Angela lo  avviciniamo per l’intervista, Enrico (Gabrielli ndr.) è stanco. Il giorno prima hanno suonato a Roma e sono tutti reduci da un lungo viaggio. Accetta comunque di farsi intervistare, con la gentilezza e l’umiltà che accompagnano solamente i grandi artisti. Mi chiede del C.S.C, ricordando con nostalgia le serate passate insieme quando veniva a suonare con i Mariposa e una volta anche con i Calibro 35. Lo metto al corrente della mutazione avvenuta recentemente. Lo vedo contento di sapere che il gruppo esiste ancora, anche senza una sede fisica. Subito dopo il discorso passa ai giardini della Fabbrica Alta. Gli interessa la storia di questo edificio e del poco distante quartiere Rossi.

Felice di questo, lo porto al primo piano della Fabbrica, dove abbiamo allestito il set per l’intervista all’interno di un grande loft, che a confronto, la Factory di Warhol ci fa un baffo.

Prendo la palla al balzo e parliamo di Cinema. Non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, ma è un cinefilo/conoscitore/maestro di prim’ordine. La sua conoscenza della materia lascia sgomenti. L'intervista, che doveva durare dieci minuti, si trasforma in una chiacchierata tra amici a cui dobbiamo mettere fine solamente per i tempi tecnici del concerto. Tutto il discorso ruota attorno al cinema e, per l’umiltà di cui parlavo prima, risulta privo di qualsiasi egocentrismo. (Lo ripeto, questo succede solo con i grandi artisti).

Ne esco con una visione parzialmente cambiata, su argomenti che credevo di conoscere.

Grazie Enrico. Questa è una trascrizione della nostra conversazione:

 

FP: Ciao Enrico. Ti faccio una prima domanda che potrebbe sembrare banale. Cosa rappresenta per te Morricone?

Io ricordo che quando ero piccolo guardavo i film Western con mio padre. Ogni tanto lui mi diceva: fai attenzione, perché questo film ha le musiche di Morricone.

Al tempo non avevo la minima idea di cosa fosse una colonna sonora. Quindi per me Morricone era uno dei personaggi dei film Western che piacevano a mio padre.

EG: In realtà anche mio padre era uno che guardava molto cinema. Lui è nato a Poggio Virteto, che è in provincia di Rieti. Ha passato i suoi primi vent’anni a Roma. Per un periodo ha lavorato anche in un negozio di videotecnica che riforniva Cinecittà. Ha visto la Roma anni 50/60/70 nel momento in cui il cinema era quello che faceva Roma.

Mi ha cresciuto a pane e cinema. Commedia italiana, il prediodo in bianco e nero e tutto l’immagginario Western. Ricordo che per lui, alcuni film di Sergio Leone erano troppo violenti per un bambino. Ad esempio la scena in cui il Tuco viene schiacciato sugli occhi da un sottoposto nordista. Molto forte. Mentre adesso siamo abituati alle serie Netflix e ai film di Tarantino e i bambini vedono ben altro. Morricone era nei pensieri popolari di tutti.

Però in realtà non ho mai avuto la mitologia che hai avuto tu. Mio padre aveva una forma mentis, il cui immaginario era composto dalla musica classica russa e immaginario russo. Aveva fatto il corso per diventare segretario di sezione del P.C.I. a Frattocchia. Il Western e l’America non erano esattamente nelle sue corde, pur ascoltando Neil Young. Morricone me lo sono scoperto più io. Avevo una musicassetta con alcuni suoi brani, che da bambino mi creavano delle forti scosse emotive, insieme ai primi Beatles.

 

FP: Nella musica del Maestro, aveto trovato dello spazio per l’improvvisazione?

EG: (Sospiro!). Morricone non è strutturato per improvvisare. Abbiamo cominciato l’attività dei Calibro 35 con un brano che si chiama Trafelato. In realtà uno dei tanti brani del periodo cinematografico di Morricone, in cui secondo me, per sveltire il processo compositivo, aveva inventato un sistema di modularità. Prendeva schizzi e idee e lì sovrapponeva l’uno all’altro. Soprattutto per i brani di tensione: Horror, Thrilling o Poliziesco. I brani non hanno un tema, sono proiezioni di cose. Secondo me con un paio di paginette se la cavava e sfornava quaranta minuti di musica. Molte persone non lo sanno, ma la colonna sonora di Giù la Testa ha un paio di brani di cui esistono cinque o sei versioni diverse. Perché erano costruiti così. Mischiandoli insieme e magari facendo anche dei lavori di nastro. Quel tipo di materiale si presta per l’improvvisazione.

Ma di base lui era uno che scriveva: linee, melodie, ritmi e forme, in modo molto preciso.

Quella che secondo me avuto lui, come grande fortuna, è che questa cosa l’ha fatta in un periodo storico in cui aveva dei musicisti incredibili. Le linee, armonie e strutture, date in mano ad Alessandroni o Nora Orlandi e tutte le persone che giravano negli studi in quel momento, diventavano qualcosa di unico. I colori glieli davano loro.

C’è un altro personaggio poco citato e che non appare nel film. Si chiama Bruno Nicolai che compare spesso come firma di direzione nella prima trilogia sonora dei film di Morricone. Probabilmente lui era il preparatore. Si interfacciava con i musicisti. Morricone arrivava con le linee e Nicolai le assagnava e consigliava i musicisti. Questa è stata la sua fase che ha fatto scuola, anche a lui stesso.

Per me nell’idea di questo concerto, di improvvisazione ce n’è molto poca. Così deve essere. Non mi interessa stravolgere la sua musica.

Mettendosi a improvvisare dall’inizio alla fine, non si farebbe un grande servizio a nessuno.

 

FP: Parliamo dei Poliziotteschi degli anni settanta. Quei film erano a basso budget e apertamente copiati dai film americani. Eppure, con tutti i loro difetti, contenevano un elemento autoctono. Questi elementi sono anche il motivo che lì ha fatti sopravvivere creando una via Italiana al genere. Credi che esista ancora questo approccio?

EG: In quel periodo lì, loro tentavano veramente di copiarli. C’era un desiderio reale di fare un Western che somigliasse agli americani. Al tempo c’erano inoltre dei produttori internazionali, Come Dino De Laurentiis, che era un grosso produttore di Hollywood, ma italiano. Pensa a film come Flash Gordon o Conan il Barbaro; film di cassetta ed erano italiani. Il travaso era più facile. Però penso che loro facessero dei tentativi di fake, per fregare la distribuzione. A volte c’erano degli pseudonimi. Alcuni attori recitavano in finto slang inglese. Quasi tutti i film poliziotteschi e Spaghetti Western penso fossero in un inglese maccheronico. Nel tentativo di imitare, producevano una terza via. C’è poco da fare. Adesso è più difficile perché i mezzi per imitare sono molto più sofisticati.

Per essere nella terza via, ci devi voler stare. C’è una grande consapevolezza dei mezzi tecnici, unita alla consapevolezza del mondo esterno. Ormai l’Italia è inscritta in un sistema Europa, che non è più ad una distanza siderale. Quasi tutti gli attori parlano inglese.

Detto questo, per assurdo, credo che esista nel cinema un marchio italiano che ci rende tra l’altro un pò fastidiosi. Soprattutto quando si parla di commedia o di presa diretta.

Credo di aver capito quale è uno dei motivi principali. Non si fa più uso del doppiaggio. Il ridoppiaggio creava un effetto non tempo/non luogo che rendeva una visione non distante da quella di un film francese, inglese o americano. Noi invece percepiamo questa romanità imperante, perchè il cinema è rimasto gran parte a Roma, in cui mediamente gli attori non scandiscono bene o hanno problemi di pronuncia e il ridoppiaggio è fatto in maniera non particolarmente riuscita.

Ho anche un’altra teoria, che serve anche a me per capire meglio. Una problematica che invade allo stesso modo la musica.

il cinema una volta era stereofonico. La visione era la stessa che potevi avere anche ad un concerto, frontale. Ti dava la possibilità di vivere la tua vita nella percezione e nel consumo di quel film. Mentre adesso il cinema è immersivo. Si trova tutto intorno a te. Le immagini, la musica, gli effetti sonori, i dialoghi, sono concepiti in maniera spazializzata. Tu sei dentro ed è problematico. Io non voglio stare dentro un film. Preferisco essere libero.

Questo modo di lavorare ha invaso moltissimo la musica. I musicisti sono considerati dei sound designer e non compositori. La musica di Morricone oggi non potrebbe stare all’interno di nessun film. Non c’è nessun dispositivo filmico che potrebbe sostenere questa potenza e quantità di musica. Era stereofonico e trovava naturalmente il suo spazio. Il paradosso più incredibile è che la forma immersiva è pensata per il cinema.  Allora mi chiedo: dove guarda i film la maggior parte della gente? Per la grande maggioranza, sul PC, e il suono torna ad essere stereo, perdendo le frequenze, le dimensioni e  il linguaggio. Tanti problemi di percezione del cinema di adesso sono generati anche da questo.

 

FP: La scorsa settimana è morto Godard. Visto che abbiamo parlato di cinema, ti chiedo se ti piaceva. A me piacciono molto i suoi primi film.I più recenti faccio fatica a capirli. Usa un linguaggio che dovrei studiare perchè mi risulta troppo complesso.

EG:  Si, sono un pò d’accordo. Stiamo parlando di una persona che ha fatto un percorso storico molto ampio. Non ho ancora un’opinione precisa su di lui. Pensavo fosse già morto, a dire la verità. Conosco il suo cinema, ma non sono mai stato un grande appassionato di quel mondo francese. Mi piace moltissimo il cinema di narrazione sono legato al cinema italiano. Su certe cose,  Trouffout a volte si interfaccia bene. Però non sono mai stato grande fan neppure dei registi italiani che vanno in Francia con la testa. Ad esempio Michelangelo Antonionioni. Penso al suo film Deserto Rosso. Invece mi paice molto Elio Petri. Lui era un antifrancese per eccellenza. Quasi sovietico in un certo senso. Godard è un argomento complesso che mi riservo di studiare meglio. Diciamo che la sua sua morte non è stato un sobbalzo. Mi dispice dirlo.

 

FP: Cambiamo argomento per l’ultima domanda. Come vi siete trovati con la nuova formazione “allargata”.

EG: Per fare questo concerto, in quattro non ci saremmo riusciti. Per me è il più difficile che abbia fatto in vita mia.

Abbiamo avuto bisogno di potenziare l’organico, inserendo dei musicisti che oltre ad essere degli amici, sono anche tra i migliori in Europa e credo anche di essere restrittivo. Paolo Ranierei suona la tromba e il flicorno. Ci sono tantissime parti di tromba nella musica di Morricone. Stasera le sentirete.

Sebastiano De Gennaro, il mio fratello acquisito. Lui suona tutte le percossuoni.

Poi c’è il gioiello di questa formazione: Valeria Sturba che suona il violino e il Theremin e canta…canta come Edda Dall’Orso. Con una semplicità incredibile riesce a fare se telefonando di Mina. Senza problemi sia con la voce che con il Theremin. Puro talento. Se lui l’avesse conosciuta, avrebbe sicuramente fatto parte dei suoni musicisti.

 

Grazie mille Enrico per il tuo tempo.

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