"Bob Mould e il Caos rassicurante". Articolo di Fabio Pigato
- francescocaprini
- 5 giu
- Tempo di lettura: 3 min

Here We Go Crazy – Recensione per chi ascolta con il pensiero acceso.
Arrivato a una certa età (per usare un eufemismo), il risveglio del mattino diventa sempre più faticoso, spesso accompagnato da quei piccoli malumori che solo gli acciacchi sanno portare. In una domenica così, dove nemmeno il caffè riesce a dare la scossa, ma ci vorrebbero delle sberle ben assestate, accendo il telefono e mi arriva una notifica da una nota piattaforma di streaming: è uscito il nuovo album di Bob Mould.
Ottimo.
Rallegrato, schiaccio “play” — e subito parte la title track, che mi travolge con uno sciame di chitarre più pungenti di un alveare in rivolta.
Nonostante Bob abbia visto qualche primavera più di me, la sua energia resta contagiosa.
Così ho deciso di scrivere queste righe, lasciandomi guidare più dall’emozione che dalla logica. Potete dissentire, ovviamente...
Bob Mould non ha mai cercato di stupire con effetti speciali. Preferisce scavare in profondità con una lama sottile: quella della coerenza stilistica, della lucidità, della tensione costante verso qualcosa che assomiglia alla verità.
Here We Go Crazy è l’ennesima prova che si può raccontare il caos restando in piedi, che si può descrivere la confusione senza esserne travolti.
Un disco che vibra incessantemente.
Si parte con la title track, una sorta di esplosione gentile: l’urgenza di perdersi senza perdere il controllo.
Una dichiarazione d’intenti, un inno alla confusione che — a volte — ci tiene vivi.
C’è una lucidità feroce, ma mai gridata. Quella di chi ha visto molte stagioni passare, e ormai sa distinguere tra la tempesta e il semplice vento.
Segue Neanderthal, più istintiva, più fisica.
Un grido primordiale camuffato da riff punk, dove l’uomo moderno inciampa sui resti del proprio istinto.
Un’umanità che si crede evoluta, ma continua a rispondere con i pugni alle domande sbagliate.
Con Breathing Room arriva una tregua.
Una fuga silenziosa dal rumore mentale, alla ricerca di uno spazio vuoto dove ascoltare — finalmente — il proprio respiro.
Il rumore si fa spazio, lo spazio si fa tepore.
La musica diventa terapia.
E qui arriva una delle immagini più potenti del disco:
La chitarra di Mould suona come un orologio rotto in una stanza vuota: ticchetta a casaccio, ma ogni nota apre una porta sul silenzio di chi ci vive.
In Here We Go Crazy, Bob Mould cammina lungo una strada che non porta da nessuna parte, ma sotto le sue scarpe il tempo si piega come carta bagnata. Ogni accordo è una piega nella mappa del cuore.
Hard to Get torna a scavare nella frizione tra visibilità e incomprensione.
La distanza tra ciò che proviamo e ciò che mostriamo.
Una corsa a vuoto contro la banalità dell’essere fraintesi.
Qui la musica non consola, ma accompagna.
Non risolve, ma rende abitabile la contraddizione.
Con When Your Heart Is Broken tutto rallenta.
Un dolore sottile, lucido come vetro rotto.
Racconta ciò che resta quando le parole si arrendono.
Non si cerca un colpevole: si registra l’assenza.
Ed è proprio lì che la bellezza filtra.
Continuerei volentieri a raccontare brano per brano, ma rischierei di togliere gusto a chi si avvicina all’ascolto.
Ogni canzone è un piccolo enigma da decifrare con le proprie emozioni.
Permettetemi però un’ultima considerazione:
Non serve gridare per essere politici.
A volte basta restare fermi mentre il mondo gira.
Here We Go Crazy è esattamente questo:
una mappa emotiva per chi ha imparato a credere nel cambiamento lento, ma necessario.
Bob Mould e il Caos rassicurante
Di Fabio Pigato
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