Roberto Bonfanti: gli ascolti di dicembre 2025
- Roberto Bonfanti

- 12 minuti fa
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Arriviamo all'ultimo giro di giostra del 2025 e, aspettando i panettoni, i brindisi e i regali, concediamoci un'abbondante infornata di ascolti non propriamente natalizi.
È un artista che non fa sconti e che ama scavare nel torbido a mani nude, Stefano Attuario. Il suo “Babele” si presenta come un lavoro profondamente inquieto che si esprime attraverso un rock dall’anima darkwave stracolma di spigoli taglienti, di rifermenti letterari dalle tematiche oscure, di atmosfere apocalittiche e di pensieri dolenti in eterno fermento.
Vincitori dell’ultima edizione di Rock Targato Italia, i Polistirene hanno esordito pochi mesi fa con un album eponimo. Otto canzoni ipnotiche che fondono attitudine trip-hop, sonorità di matrice industrial e una scrittura ricca di riferimenti a culture arcaiche o simbolismi arcani che donano al progetto una forte personalità e lo arricchiscono di un fascino mistico.
S’intitola semplicemente “Grazian”, come un disco d’altri tempi, il nuovo album di Alessandro Grazian. E, come un disco d’altri tempi, appare confezionato con grande eleganza e una cura assoluta per ogni dettaglio. Dodici tracce capaci di spaziare con raffinatezza fra momenti di intima malinconia, parentesi giocose, lampi di acidità rock e aperture pop d’autore.
È un indie-rock garbato e sfaccettato, quello portato in scena dai Kozminski con il loro “Un oceano di zeri”. Dieci canzoni in cui una scrittura narrativa desiderosa di raccontare in modo genuino piccole storie contemporanee si fonde con un bisogno di immediatezza pop e la curiosità di miscelare chitarre dal gusto shoegaze, atmosfere limpide e ammiccamenti indie.
Odora di gioventù sonica, di inquietudini viscerali e di polverose sale prove anni ’90, “Potlac” dei Ludmilla Spleen. Quaranta minuti di musica che, fra atmosfere da girone dantesco, chitarre disturbanti e ritmiche ossessive, si snodano attraverso sette brani stridenti e destrutturati che affondano le radici nel noise più irrequieto e in una poetica decadente.
C’è il pop raffinato e c’è la canzone d’autore. C’è l’inglese e c’è l’italiano. Ci sono gli echi buckleyani e c’è una scrittura intima ma mai autocompiaciuta. “La nascita” appare come una summa di tutto ciò che la musica di The Niro ha saputo esprimere negli anni e forse anche per questo ha fra le proprie tematiche portanti l’esigenza di riscoprire la propria identità.
Hanno una bella freschezza, le canzoni di “Fuori tema” dei Mexico86. Nove brani in cui la band campana dimostra di saper unire melodie accattivanti, chitarre indie-rock, attitudine post-punk, aplomb british e desiderio di sviscerare in modo genuino storie e pensieri con un piacevole equilibrio di disincanto e leggerezza.
Ama la letteratura anglo-americana, John Strada, ed è forse da lì che ha assimilato il genuino approccio narrativo delle sue canzoni. Il suo “Basta crederci un po’” è un album da cantastorie che, fra folk, rock e canzone d’autore, ci accompagna a scoprire piccoli ritratti di esseri umani contemporanei e delle loro miserie quotidiane.
Vengono dalle Marche, i The Rootworkers, ma il loro spirito musicale nuota senza timori fra gli alligatori del delta del Mississipi portandoli, nel loro album d’esordio intitolato “Don’t beat a dead horse”, a miscelare con un piglio sicuro un’anima sfacciatamente blues con acidità di matrice garage e un’indole fortemente psichedelica.
Roberto Bonfanti [scrittore] www.robertobonfanti.com







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