"Punk prima di te". Intervista a Massimo Zamboni di Fabio Pigato
- francescocaprini
- 15 apr
- Tempo di lettura: 3 min

In occasione della Reunion dei C.C.C.P. e alle date di: “Ultima Chiamata”. Ho pensato di riproporre l’intervista fatta a Massimo Zamboni in occasione del libro Anime Galleggianti, scritto a quattro mani con Vasco Brondi.
Ecco l’intervista fatta nel 2016:
Massimo Zamboni, una persona a cui la definizione di musicista calza stretta. Uno scrittore, un compositore di colonne sonore, un fine intellettuale. Lontano dalla furia iconoclasta del Punk, ma sempre pronto a brandire un fendente che squarcia il velo dei luoghi comuni portandoci in un'altra dimensione. Ad una persona di tale caratura, cosa potevo chiedere io?
Beh, per non sbagliare sono partito da Berlino...
MZ: è una lunga storia. Mi torna comodo parlare di Berlino perchè sto scrivendo un libro su quell’estate. (il libro è uscito nel 2017 e s’intitola: Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino Ovest ndr.) Ricordo bene tutti i gruppi, la città cosa significasse e l’incontro con Giovanni Lindo Ferretti. Tornammo a casa avendo imparato qualcosa; perlomeno avevamo imparato che si poteva vivere senza rinchiudersi negli stereotipi dei genitori, ma prendendo in mano le proprie capacità, facendole fiorire. Questo è stato il grande insegnamento di Berlino, l’idea che quello che sai fare ti deve bastare. Una logica molto contadina. Quando tornammo in Emilia fu naturale chiamarci CCCP Fedeli Alla Linea e suonare in quel modo, erano le cose che sentivamo di poter maneggiare. Se non ci fosse stata quella scintilla né io né Giovanni avremmo trovato la nostra strada.
Guy Debord diceva che anche la rivoluzione, quando viene rappresentata diventa banale e viene inglobata dal sistema. Succede questo anche per la musica? l’unico modo di salvarla dalla banalizzazione è mantenersi al di fuori del sistema?
MZ: Queste sono chiacchiere anche un po’ antiche. Faccio parte di una generazione che quando sentiva la parola sistema, scappava via e le si rizzavano i capelli. Ora sono pacificato da questo punto di vista. Il sistema non rientra nei miei problemi e non rientra neppure nelle cose che faccio. Mi rendo conto che lo stereotipo dell’inquietudine e della rivolta è facilmente comprabile al supermercato come una divisa. Non c’è una speranza collettiva per salvarsi da tutto questo, ma c’è una fortissima speranza individuale di salvare la propria vita, escludendosi da queste problematiche, facendo un passo di lato. Costruirsi una vita parallela può salvarti come persona e la salvezza di uno è un presupposto per la salvezza di tutti.
Nel 1997, mentre l’Italia ballava a ritmo di Spice Girls e Festivalbar, uscivano due album che fungevano da spartiacque. Entrambi i dischi parlavano di un viaggio. Uno alle origini di un popolo, mentre invece l’altro era un viaggio nel post-umano. Sto parlando di Tabula Rasa Elettrificata dei C.S.I. e OK Computer dei Radiohead. Cosa puoi raccontarci di quei giorni?
MZ: Non avevamo niente a che fare con le classifiche, allora come adesso. Si è trattato di una frattura mai calcolata all’interno del mercato discografico. Noi siamo capitati lì quasi per caso, senza volerlo o rendercene conto. Subito dopo di fatti, le Spice Girls si sono riprese il loro posto che era stato usurpato (risate!)
Non ci ha fatto molto bene. Se i C.S.I. si sono sciolti è stato anche per questa scossa che abbiamo ricevuto.
In compenso gli altri gruppi sono ancora lì che danzano (risate!)
Comodo ma come dire, poca soddisfazione...tu non hai mai fatto scelte comode. Qual è stato il tuo più grande azzardo.
MZ: Gli azzardi più grandi sono arrivati dopo i C.S.I.
Con i CCCP prima e con i C.S.I. poi, tutte le scelte, anche le più scomode, si facevano insieme e si poteva avere l’appoggio delle altre persone. Sono stati anni duri, ma tutto veniva stemperato proprio perché le difficoltà si affrontavano come gruppo. Quando si è da soli diventa più difficile. Ho dovuto imparare ad esibirmi da solo e cantare, cosa che non avevo mai fatto. Ho avuto modo di sperimentare e anche di patire, i miei anni da adulto sono iniziati dopo i C.S.I. con degli ottimi compagni di strada, che a volte incontro, a volte perdo.
Cosa potrebbe essere considerato Punk oggi?
MZ: Punk è una parola strana, le abbiamo dato tanti significati intellettuali anche se non significa niente altro che spazzatura. Non mi sono mai sentito spazzatura, anche se della spazzatura ho approfittato tante volte. Mi rendo conto che è una parola che per essere vitale deve essere imprendibile, deve essere continuamente inseguita, questo implica un trasloco continuo. Nel momento stesso in cui viene definita smette di avere senso. Un atteggiamento ostile al conformismo si manifesta con maggiore efficacia mantenendosi rilassati e seguendo i propri sogni, senza curarsi d’altro.
Grazie infinite a Massimo Zamboni, per la disponibilità e per la semplicità con cui ci ha regalato grandi spunti di riflessione.
Punk prima di te.
Intervista a Massimo Zamboni
di Fabio Pigato
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