L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI JONES. Articolo di Paolo Pelizza
- francescocaprini
- 2 giorni fa
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Potrebbe sembrare strano ma spesso le cose che dovrebbero agevolarci, diventano insostenibile. Così tanto da doversi scusare anticipatamente solo per il cognome che si porta o per il padre che si ha. Così capita a una ragazza di ventiquattro anni che fa la modella e che, un bel giorno, decide di prodursi un disco. L’album si intitola Xandri, parola greca che significa “difensore dell’umanità” (quanto ce ne sarebbe bisogno di uno di questi, oggi) ma che è anche contenuta nel nome per esteso dell’artista. Così Alexandra Jones, detta Lexi si fa home made un album di dodici tracce per quarantasette minuti di musica e di ricerca artistica. Già dall’artwork della copertina, realizzato dalla stessa Lexi (se visitate il suo sito, scoprirete che è una brava illustratrice), si capisce che c’è un dualismo, la necessità di prendere le distanze da qualcosa o qualcuno ma da cui non ci si riesce a separarsi, ad emanciparsi. E quel qualcosa è il suo amatissimo padre. Un padre che non c’è più ma che ha un nome pesantissimo: Lexi è figlia di David Bowie. Nella poesia da lei scritta e intitolata “David Bowie’s Daughter” dichiara di non essere una copia, di non essere un’ombra. E’ un’artista alla ricerca di una sua identità e, seppur sotto la superfice, nella sua musica c’è una sua firma, un’impronta latente personale. La comparazione con il padre è inevitabile quanto motivo di disagio, di stress. Difficile essere la figlia di una leggenda e voler fare lo stesso mestiere senza incorrere in paragoni e critiche. Così il debutto diventa una dichiarazione di indipendenza, di autenticità. Le dodici tracce sono venate da una profonda introspezione e si muovono tra pop, rock e psichedelia. Chitarre e tastiere asimmetriche e atmosfere elettroniche raccontano un viaggio dentro un’anima. Ci è piaciuta molto The Rush of the Absurd melanconica e toccante e Cracks of Me dal riff elementare che ricorda un po’ il Seattle Sound dei primi Novanta. La sua voce emerge sempre bene e l’interpretazione è sempre adatta alla musica e ai testi. Noi non sappiamo cosa succederà adesso. Ci sarà un live? Ci sarà un altro disco? Non siamo in grado di dirvelo. Sappiamo però che l’operazione, pur non essendo un’esplosiva opera prima, certamente ci incuriosisce e ci fa ben sperare. Un debutto solitario, fatto in casa che promette bene. Se un povero visionario italiano e ininfluente come me potesse darle un consiglio o una suggestione, le direi di non preoccuparsi di essere paragonata al padre. Cara Lexi, pochissimi (se non solo lui) hanno avuto il talento e l’influenza di tuo padre. La maggior parte di noi mortali ucciderebbe per avere lo 0,5 per cento di quel talento. Lo 0,25 per cento di quella capacità di inventare, sperimentare, rielaborare, cambiare il paradigma, diventare un altro restando sé stesso attraversando un secolo detto breve ma che non è mai finito. Comprendendo prima e meglio degli altri cosa sarebbe successe non solo nello show business ma nel mondo. Un grande in bocca al lupo se continuerai a voler fare musica. I presupposti ci sono tutti. Prometto di non paragonarti a tuo padre ma ti auguro dopo questo primo album di scrivere la tua Space Oddity.
L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI JONES.
di Paolo Pelizza
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Caro Paolo, è sempre un piacere leggerti e soprattutto quello che scrivi avvicina anche uno come me,( che non ho la tua conoscenza della bella musica) a questo mondo così meraviglioso.
Un saluto e a presto.