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ALLA DERIVA. STORIE DI UOMINI CHE CERCANO UN SENSO. Articolo di Paolo Pelizza

  • francescocaprini
  • 22 giu
  • Tempo di lettura: 2 min


ALLA DERIVA. STORIE DI UOMINI CHE CERCANO UN SENSO.


Chiedo perdono in anticipo per utilizzare “privatisticamente” questo spazio. Per giunta, sempre, a causa (o per merito dello stesso soggetto) e per l’ennesima volta. Valutate voi cosa rischio con tutte queste aggravanti. Il soggetto è il mio amico e collega Roberto Bonfanti di cui molti tra voi apprezzano la rubrica sugli ascolti del mese (su rocktargatoitalia.it) alla ricerca di nicchie strepitose che sono sempre più (per dirla con il capitano Kirk) l’ultima frontiera di una musica italiana ostaggio di se stessa e che non riesce (salvo rari casi) a produrre nulla di originale o vagamente interessante.

Questa volta, il Nostro si cimenta con un disco. Per dirla tutta un concept album alla ricerca di un senso, una motivazione o semplicemente una giustificazione a un mondo sempre più vacuo e contraddittorio sia nelle situazioni che abbiamo subito e subiamo, sia nei rapporti interpersonali sia con quelle più intime e profonde del conoscere se stessi ancorché persi in un universo esistentivo. E allora cosa si può fare? Si potrebbe fare come suggerito dal secondo brano del disco intitolato “Paolo” (credo di c’entrare qualcosa io …) in cui il protagonista chiacchiera con il suo amico delle fragilità, dell’impossibilità di fermare i pensieri che si affollano senza un ordine. Un flusso di coscienza che non arriva da nessuna parte se non ad accettare la resa e a cercare di esorcizzarla con ancora un ultimo brindisi e con un altro bicchiere. Oppure nella pirandelliana/kafkiana “Nei Riflessi”. Il protagonista vede il riflesso nello specchio di un altro incapace di riconoscersi, innescando un’introspezione violenta e dolorosa. Ancora, con “Cliché” dove la crisi di un rapporto affettivo è il momento per cominciare a lambiccarsi in un labirinto mentale dove l’unico esito possibile è l’arrendersi allo scorrere della realtà e del tempo. Il disco comincia con la melanconica “L’Estate” e finisce con un ricordo tenero e trasognato, in un passato lontanissimo, di un nonno fuori dagli schemi, di un’infanzia serena e di un mondo diversissimo da quello attuale, ma ha lo slancio necessario per una riflessione sulla libertà nella sua accezione più autentica. Il lavoro di Bonfanti è puntuale, suggestivo e originale come ci ha ormai abituati. L’intreccio tra quello che succede nel mondo, nella nostra socialità sempre più artificiale e mediata e quello che intimamente percepiamo viene raccontata con ragionevole rabbia, raziocinio e rassegnazione. Mondi difficili da dipanare per chi è confuso, colpito e affondato dalle contraddizioni di una modernità che non abbiamo scelto, da sospensioni di libertà che non abbiamo approvato, da una consapevole impotenza.

Le musiche sono di Max Zanotti e, alternano sapientemente l’essere colonna sonora delle tribolazioni del nostro protagonista, momenti distopici, tenere malinconie e momenti di delicata dolcezza.

Alla Deriva, forse non ci racconta tutti. Probabilmente racconta solo un certo tipo di persone. Persone che non hanno rinunciato a capire e che per questo si ritrovano al centro di un vortice fatto di sconfitte e di solitudine. Qualcuno potrebbe pensare che sono deboli ma sono i migliori tra noi. Migliori di una maggioranza di umani sempre più inesorabilmente ignavi e insensibili.

di Paolo Pelizza

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