MASSIMO ZAMBONI E LA BOMBA. Lettera aperta all'amico Massimo Zamboni di gianCarlo Onorato
- francescocaprini
- 17 lug
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nella foto gianCarlo Onorato
MASSIMO ZAMBONI E LA BOMBA
Lettera aperta all'amico Massimo Zamboni
Caro Massimo,
essendomi imbattuto di recente nella eco dei trionfanti concerti di riunione di C.C.C.P., ed avendo provato insieme ad una sensazione di soddisfazione per voi, anche una sensazione di irrisolto e di disagio, di disappunto, per meglio intendere ho scelto di recuperare ciò che viene rivelato dal linguaggio del corpo e dalla risonanza interna delle parole nelle interviste. Infatti, almeno dopo l'avvento del punk, dobbiamo convenire che sono ben pochi i “musicisti” che possono dire di avere compiuto con l'opera ciò che intendevano fare e dire, ma sono tanti, troppi di più coloro che si sono semplicemente trovati tra le mani ciò che è capitato loro di produrre. E questo è già un fatto di natura antropologico-culturale che non dovremmo trascurare, ma lo faremo lo stesso per necessità di giungere al senso di questa lettera aperta.
Sei tra i non-musicisti che più ho stimato e stimo, proprio per quella virtù preziosa, pensosa, che corrisponderebbe a “onestà di sguardo” (e non scomoderò se non più avanti il concetto ambiguo di “onestà intellettuale”). Per questa ragione, l'unica volta che ho avuto il piacere di venire ad una tua esibizione, accomodandomi un po' rispetto al tuo rapporto con la chitarra nonché all'uso della voce (da vero coevo del postpunk non mi è poi così penoso), ho apprezzato una volta di più quella onestà a cui dal vivo si aggiunge la bontà di sguardo, quello fisico, persino venata sul palco di un certo “timore”, il che ti fa tanto vero, e questo già a me basterebbe. Tanto che al termine dell'esibizione mi sono spinto a fare ciò che di norma non faccio: sono venuto nel retropalco per parlare per una volta con il collega (qui il termine è volutamente etimologico). Il dialogo con te quell'unica volta, sebbene come sempre accade in simili circostanze sia stato rapido, confuso, sul filo di certo imbarazzo proprio di chi non sa né vuole essere “star”, ha confermato l'impressione di persona vera, e un grande rinforzo a tale impressione è stato per me incontrare la tua umiltà rispetto a faccende tecnico-artistiche, come il timbro relativo al sistema di amplificazione della chitarra acustica, e altre peculiarità da musici condivise con l’ottenimento di sudate competenze. Era stato un bell'incontro. Avevamo persino fatto quello che quasi ogni volta si fa quando si sta bene con un'altra persona: vaneggiato di un possibile contatto collaborativo.
Questo perché io credo prima di tutto alle persone, e so che senza verità umana non vi è verità di proposta.
Passa il tempo, scorrono gli anni, sappiamo quanto sia facile farsi inghiottire ciascuno dalle proprie cose. Arriva persino il trionfale ritorno di uno dei gruppi - i C.C.C. P. - che avevo trovato tra i più stimolanti, ignorantemente travolgenti. Ben lontani dal mio segno musicale, avevate avuto il pregio di riportare su un piano di immediatezza il tema del disagio di vivere gli anni che dal '77 portano sino alla caduta del muro di Berlino. Per me sinistra, posto che voglia dire o abbia mai voluto dire qualcosa, non voleva dire Marx e il favoleggiato primato del proletariato sul capitalismo, né avevo mai trovato interessanti cortei, “lotte di piazza” eccetera; ma da figlio di operaio, morto per avere trattato da ragazzo l'amianto, non stare in una collocazione obbligata voleva dire Gramsci, sì, e Pasolini, sì, e persino Tenco, e guarda un po', proprio Tenco per me era stato assai più rivoluzionario e molto, molto meno retorico di De André, con buona pace per chi vuole sempre e solo credere a ciò che diviene suo malgrado religione. Amen.
Siccome il clamore della vostra trionfale riunione, pur suonando assai bene se vissuto nei panni degli ex-ragazzi non-musici che hanno fatto il miracolo di divenire un riferimento intoccabile in ambito culturale, stonava invece parecchio da qualche parte su un piano squisitamente “politico”, ho fatto ciò che dicevo al principio di questa lunga lettera: sono andato ad ascoltarmi le interviste. La verità delle interviste. Dirò subito che umanamente mi hai convinto, ma anche che non è questo il punto.
L'intervista nel tuo caso tiene, ma non perché sia io a sentenziarlo. Le interviste dicono eccome, anche e soprattutto laddove non dici. Se ad esempio qualcuno volesse cogliere i segnali dell'uccisione di Pasolini, basterebbe ascoltare le sue interviste e vedere il suo sguardo, mai rivolto alla camera che lo riprendeva bensì fisso su qualcosa, notare il colore querulo della sua voce e la smorfia continua del suo volto: era già consapevole della morte, e per finirlo del tutto mancava solo la sua feroce e vigliacca esecuzione, concertata in ambiti che oggi si possono intuire meglio se vediamo come sono andate le cose dopo di lui. Dopo Moro, ad esempio e persino dopo Craxi, il cattivone che ci hanno dipinto come un ladro, forse perché remava contro i padroni d’America e contro l'Europa e i suoi visibili tranelli. Ma tant'è. Queste cose non le puoi mediamente dire senza essere subissato di insulti, nel famoso Paese democratico e soprattutto in quello della libertà di espressione, di diritto al lavoro, di diritto all'istruzione, alla sanità. alla casa eccetera. Le balle che abbiamo ingurgitato attendendo la rivoluzione a sinistra e credendo che gli sforzi dei nostri nonni immolati sul fronte della resistenza dovessero essere difesi oggi da fumose minacce di maschilisti, patriarcati e conseguenti femminicidi e poi naturalmente dagli insopportabili no-greenpass, così come prima sera sembrato a sinistra guardarsi da berlusconiani, craxiani, andreottiani, e tutti gli ani che ci hanno voluto mettere come esche, puntualmente andate tutte a segno. A sinistra sono così sfuggiti i diritti dei lavoratori e quello della dignità e intergrità della persona. Quindi è stato come spalare il mare, tutto il lavoro svolto negli anni, o se preferisci, riempire di conquiste e diritti un sacco bucato.
Un gran bottino quello che si è portata a casa la gestione oligarchica del mondo occidentale. E chi lo denuncia oggi anche di fronte a clamorose evidenze, è un fanatico sovranista. Molto meglio essere un suddito arrivato.
In questo scenario, ascolto la tua intervista, (Altro /Ep.5, altro_medium, YouTube: massimo zamboni, ic.c.c.p., i c.s.i., la morte, la bomba...) rilasciata qualche mese fa, e trovata tra i miliardi di documenti di cui pullula la rete, il nostro Grande Fratello quotidiano. Si badi che c'è chi ancora compra e legge i giornali (o addirittura i libri), ma occorre ammettere che se vuoi provare a sapere qualcosa non puoi più cercare nella carta stampata, nella prezzolata compagine degli artigiani della manipolazione. E l'intervista verte inevitabilmente sul tuo passato, sul tuo rapporto con la musica, i viaggi della speranza, l'incontro fortuito con Giovanni Ferretti, le case condivise, le prime prove senza strumenti e senza saper suonare un accidenti, i concerti improvvisati, i primi dischi.
Bello, vero, uno spaccato di verità che una volta di più infrange molti luoghi comuni.
Il tuo eloquio pur essendo fermo e deciso, è persino umile, lucido e diretto, personale e ancora carico di voglia di scoprire, specie in ambito letterario dove, e mi ci ritrovo, gli orizzonti espressivi sono ancora sfide interiori e per questo assai più affini a chi si affida al pensiero più che alla mano. Mi convince tutto. Sinché giunge un dettaglio che a tutta prima mi aveva emozionato: quando descrivi la vista della prima copia del vostro primo 45 giri e affermi di aver pensato “adesso posso anche morire”. Questo dettaglio mi colpisce dapprima centrando in pieno la condivisione di certe emozioni epocali, come quella appunto di avere generato dal niente un oggetto che è più di un oggetto: un libro, un disco, erano e sarebbero, (ma allo stesso tempo non sono più) un limite superato, un traguardo attraversato malgrado tutto e tutti, una compiutezza di mondo, avere messo la propria impronta sulla sabbia mobile, volatile della Storia. Ma dopo quella emozione, un fastidio mi assale. Quindi lo metto da parte e proseguo: quando il discorso tocca la nostra attualità politica, la tua voce diviene ancora più distaccata, e il tono quello di un uomo che tende ad appartarsi, tirarsi fuori dai giochi, e dopo un desolato sguardo alla scena attuale, insieme al dichiarato amore per la località sperduta in montagna in cui ami vivere, affermi che “la Bomba vorresti riceverla lì, possibilmente stando nel tuo letto, in pieno petto, essere il primo a riceverla”.
Finito di ascoltare tutto con un crescente malcontento, per bisogno di completezza rivolgo la mia attenzione ad un'altra intervista piuttosto recente, una in cui tu e Ferretti ripercorrete per la gioia di un pubblico in estasi una carriera fatta di cose nate belle perché casuali, di canzoni nate per caso, appunto, di parole poi divenute celeberrime, nate dapprima sulla derisione, e sul ricordo di esperienze lavorative e umane. Insomma pare la gara dell'autodemolizione di un mito, che in verità non fa che insistere proprio sul tasto che quel mito ha contribuito a creare: l'umiltà delle origini di una idea. Tradotta vorrebbe essere innocenza, ma innocenza significa non avere colpe, e tutti ne abbiamo, prima o poi, ed il guaio aggiuntivo è che più diventiamo riferimento per molti, più aumentano il rischio così come eventualmente il volume delle nostre colpe.
Ferretti peraltro a sua volta ribadisce il concetto – terribile se ascoltato per la seconda volta – di avere pensato che, fatto il primo disco e visto uscire un ragazzo esultante da un negozio con una copia sotto il braccio del vostro primo Lp, avere pensato, esattamente come te: “è fatta, ora si può anche morire”.
Allora provo un forte dispiacere. Tento di tracciare un percorso ideale, che parte da ragazzi che non pensavano affatto di avere un futuro, ma volevano solo salvarsi dagli obblighi e vivere in maniera alternativa rispetto ai dettami del sistema - perché io sono stato esattamente uno di quelli, tu lo sai - che poi, nel caso vostro, ragazzi che attraverso canzoni pur sghembe ma puntuali diventano piuttosto in fretta un riferimento importante, un fenomeno culturale e di costume, e riempiono di curiosi e poi di appassionati i centri sociali e poi i Club per anni e poi si estinguono in una catarsi trasformista per diventare qualcosa ancora di mitico, benché più sobrio, per poi sparire di nuovo finché, trent'anni dopo, si ritrovano e fanno il tutto esaurito in varie Piazze. Un vero trionfo, mediato o forse sancito da biglietti dal prezzo importante data la mole dell'organizzazione che sostiene il tutto, (e chi non può pagare, non può parteciapre al rito consacratorio) supportato da una ricca pubblicazione dell'opera omnia. Un trionfo non certo capitato a tutti coloro che “tornano”. Il più delle volte quelli che tornano sono vecchietti mal in arnese, un po' tristi, un po' patetici, senza capelli e affaticati dall'età, ma aggrappati al proprio glorioso passato e rivolti mediamente ai propri attempati, sparuti coetanei.
A voi è andata meglio, pubblico trasversale, pubblico senza età.
Ora confronto però tutto ciò con la tua affermazione di “attendere la Bomba”, poiché in quella intervista si evince dallo sguardo, dal tono e dalle parole non dette oltre che da quelle pronunciate ed inequivocabili, che non vi sarebbe altro da fare. E mi viene dal profondo di farti notare che questo è il modo più abnorme per vanificare tutto quel percorso fatto da te e dagli altri, ed è quasi una beffa al pubblico che vi ha amato.
Poiché sa tanto, troppo, di “noi ce l'abbiamo fatta, e ci godiamo in quiete quello che abbiamo, finché arrivederci, tanto non c'è niente da fare, il mondo fa schifo, e peggio per chi non ha da rifugiarsi tra le proprie belle cose amate per morire felice”. SE questo non era ciò che intendevi, ti informo che questo è invece ciò che è arrivato, e che non fa bene sentire. Devi perdonarmi, ma lo ritengo un atteggiamento, intellettualmente e politicamente parlando, terribile, soprattutto da parte tua. Arrivo a sentirlo assimilabile a quello di chi – autobattenzadosi come intellettuale - non fa che adeguarsi al peggio, o peggio buttarsi sotto le bandiere del sistema. Tu, voi che non lo avete fatto con le azioni in musica, finite per farlo come approdo ad una resa inaccettabile, vanificante ogni sforzo precedente.
Tu citi Pasolini, ma dimentichi che lui non avrebbe mai atteso la Bomba sul suo letto, ma avrebbe fatto, come ha fatto, di tutto per tentare disperatamente di disinnescarla, e quella sarebbe stata la sua lotta. Infatti anche o proprio per questo tentativo di disinnesco è morto.
Tu citi con amore la tua adolescenza fuori dagli schemi, ma mostri indifferenza verso chi ha i suoi benedetti diciassette anni oggi, e attorno a sé uno scorcio di Storia semplicemente folle, perché privato di significato sin dai più piccoli gesti e dalle parole dei nostri più eminenti governanti. Europa che vuole armarsi tagliando su sanità ed istruzione, ad esempio, e fosse solo la portata di un delirio come questo; c'è invece molto di più: il presunto Stato di Israele che fa macelleria da mesi di donne e bambini, ospedali e case e affama e priva di cure deliberatamente, negando di essere il carnefice e invocando piuttosto come eterna scusa il fatto di essere stati sempre vittime, o peggio ancora quella di rispettare la “volontà di Dio”; Occidente che prima provoca una guerra e poi accusa Putin di essere l'aggressore e, per non dimenticare nulla degli eventi mostruosi occorsi a questa generazione, uno “Stato di Diritto”, approvato dalla Corte Costituzionale, che nel nostro amato Paese, ha permesso l'imposizione un trattamento sanitario privo di ogni fondamento scientifico così come di una necessaria sperimentazione, forzando la mano per assumerlo a migliaia di padri di famiglia col ricatto dell’esclusione dal lavoro e imponendolo ad ammalati e minori, giungendo ad un disprezzo per la vita e per la persona che riduce a carta straccia la nostra amata Costituzione (evidentemente posta come semplice formalità).
Ed ora tu, reduce da trionfi basati sull'alternatività e l'opposizione al potere, osannato come antisistema, vieni a dirmi in pubblico che tu andrai a dormire attendendo e augurandoti che la Bomba ti colga “per primo in pieno petto”.
Che razza di didattica artistica è questa nei confronti di un adolescente del 2025?
Dove sono, oggi che se ne sente un disperato bisogno concreto, la ricerca e la lotta?
Dove la responsabilità dell’intellettuale?
Che visione dimessa, al suo posto, che rassegnata, disarmata, annichilita visione, ridotta alla ricerca di un benessere appartato, che non sarà certo l'agio e la ricchezza sprezzanti verso chi soffre, ma è pur sempre e comunque un rifugio.
E ti chiedo, il tuo posto non dovrebbe invece essere, come il mio e come quello di tanti altri attori realmente responsabili, in prima fila per sputare in faccia a chi di dovere, ad ogni costo, a prezzo dell’esclusione, come avviene al sottoscritto e ad altri che osano dire, tutte le storture che abbiamo sopra elencato e che NON SI POSSONO IGNORARE o peggio dichiarare false?
Caro Massimo, tutti sbagliamo, tutti possiamo deprimerci, tutti possiamo avere momenti in cui le forze ci abbandonano, e in fondo diventare maturi, lo comprendo, non aiuta: ma lo spirito, per dare verità al nostro passato, non può mai essere quello del rinunciatario, poiché ciò farebbe crollare o riportare a nulla iniziale tutto il percorso precedente.
A questo punto ti chiederai naturalmente cosa faccia io.
Faccio la mia parte, documentabile, anche se ascoltato da un pubblico assai ridotto ma non per questo meno importante. Fosse anche pari al lancio della stampella al nemico o al sasso del bambino contro il carro armato, perché so che ciò che conta è dare qualcosa, come unico rimedio alla deriva mostruosa, quella di ieri che si condensa in quella che ci coglie oggi. E non può trovarci rassegnati, non ce lo possiamo permettere.
L'unico ponte concreto verso il domani è la nostra opposizione all'assurdo, e quella non prevede attese passive della fine, ancorché ritirati in paradisi naturali, specie dopo lunghe, ammirevoli lotte e l'ottenimento di una grande visibilità. Il tuo ruolo NON è l'attesa della Bomba. Pensaci, ti invito a pensarci.
Diversamente, sarebbe consegnare tutto il desiderio al nulla.
Con affetto, un (r)esistente gianCarlo Onorato
luglio 2025







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