Guinevere – TO ALL THE LOST SOULS (La Tempesta Dischi 2024)
- Franco Sainini
- 4 giorni fa
- Tempo di lettura: 2 min

Nell’intervista che metto da sempre sul mio blog, all’inizio lascio una scheda da compilare a uso e consumo degli intervistati, prima delle domande. Delle note sintetiche all’ascolto del disco, tra le quali una è “particolarità”. Be’ a questa, Guinevere ha scritto “infinite” e devo dire rende bene l’idea di cosa è questo suo magico esordio TO ALLE THE LOST SOULS, ovvero A TUTTE LE ANIME PERSE. Un titolo, anche lui, che rende bene l’idea di cosa c’è dentro.
Sono quindici canzoni per ben un’ora e cinque di tempo, un tempo dilatato, vista la magia, anzi la psicomagia in esso diffusa dal talento della ragazza di Milano di origini trentine. L’avevo incontrata un anno fa, per l’EP d’esordio Running in Circle, uscito come questo cd con La Tempesta Dischi, che già aveva fatto presagire un gran talento, decisamente lontano dalla musica di oggi, con rimandi ad artisti diversi di epoche diverse. Tanto per fare nomi, mi venivano in mente e mi vengono in mente gente come Tom Waits, Devendra Banhart, i Blonde Redhead (non solo per la voce) i Radiohead, Cocorosie, Bon Iver, King of Convenience, artisti questi due ultimi con i quali ha pure diviso il palco.
IL DISCO
Si parte con Little Blue Gin, con voce soave, delicata ma profonda, il piano classicheggiante che ti sembra l’inizio di un bel film, si passa a Unravel, molto Devendra Banhardt, con quel tamburellare in sottofondo, chitarre senza tempo, ancora quella voce delicata ma profonda, come nel terzo pezzo del resto, Wintersick, rock di marca sixty, con aggiunta degli archi a donare ulteriore incanto. E siamo solo ai primi tre pezzi.
Il quarto, I Need A Glass Of Water è delicatezza più ritmo, dato non solo dalle percussioni, ma anche dalla voce e dal piano, mai così in sintonia. Voce/chitarra per un folk-rock anni Sessanta per Letters From A Body. Pezzo carico, teatraleggiante che dal vivo può fare la sua porca figura è Everybody Dies.
Il settimo, A Message, è un breve intermezzo di cinquanta secondi, voce e uccellini. Poi TO ALLE THE LOST SOULS vira in un qualcosa di diverso, forse più elettronico, con Generational Fear, sperimentale, con molte cose dentro, Rough Skin, cantata in coppia con Damon Arabsolgar, produttore del disco assieme a Andrea Pavesi, Interlude//falling down, due minuti di piano e improvvisazioni vocali, come nella successiva, più intensa e lunga Sorry.
Folk-rock acido dal sapore internazionale è The Equilibrist, pezzo libero, ciondolante, teatrale Restless Fleshes, con la voce che sembra giocare con gli altri strumenti, tantrico, con quella voce sempre più nella nostra testa e il piano accanto in Be Like a Spider - She Said.
Il pezzo finale è diverso, perché cantato in italiano dalla voce di Andrea, realismo poetico, in parte parlato questa Per Andrea, Per sempre, con una struggente melodia di archi, percussioni e sax che va a coprire la voce e poi farla ritornare per un saluto. Andrea era un caro amico di Guinevere, scomparso nel 2019, fonte d’ispirazione dell’intero disco.
Sono anni strani/dolorosi, questi, e racchiudono storie come queste. Da qui TO ALLE THE LOST SOULS.